Determinazione del limite di mantenimento nella liquidazione controllata

Determinazione del limite di mantenimento nella liquidazione controllata

La determinazione della soglia minima di beni necessari al mantenimento del debitore e della sua famiglia (art. 268, comma 4, lett. b, CCII) è affidata alla valutazione discrezionale del Tribunale, da effettuarsi caso per caso, bilanciando gli interessi in gioco.
Tale soglia non deve limitarsi alle sole esigenze alimentari, ma deve garantire una vita dignitosa e fungere anche da incentivo al lavoro. Tuttavia, non può spingersi fino al livello del tenore di vita costituzionalmente adeguato (art. 36 Cost.), tenendo conto della condizione del debitore nei confronti dei creditori.

Il Tribunale può basarsi su parametri oggettivi come:

  • la soglia di povertà assoluta ISTAT,
  • la spesa media mensile,
  • l’assegno sociale INPS.

Inoltre, deve considerare anche il contributo economico dei familiari o conviventi, che si presume proporzionale al loro reddito, nella valutazione della quota di reddito da escludere dalla procedura.

Altri articoli sulla liquidazione controllata: https://www.sovraindebitamentoecrisidimpresa.it/determinazione-della-quota-reddito-nella-disponibilita-del-debitore/

Applicazione delle misure protettive nella liquidazione controllata

Applicazione delle misure protettive nella liquidazione controllata

Deve ritenersi inammissibile l’istanza con cui il debitore richiede l’applicazione delle misure protettive previste dagli articoli 70, comma 4, e 78, comma 3, lettera d), del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), qualora tale richiesta sia formulata congiuntamente al ricorso per l’apertura della procedura di liquidazione controllata ai sensi dell’articolo 268 CCII. Infatti, la normativa vigente non consente al debitore, che sia egli stesso l’istante della procedura di liquidazione controllata, di beneficiare delle misure protettive in questa fase.

Tale facoltà, come si evince dal dettato normativo, è riservata al solo caso in cui la domanda di apertura della liquidazione controllata sia proposta da un creditore. In questa ipotesi, infatti, il legislatore ha previsto la possibilità di assegnare al debitore un termine per valutare e presentare un’eventuale domanda di accesso a una procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza disciplinata dal capo II del titolo IV del CCII. È solo in tale circostanza – ovvero in presenza della concessione di un termine da parte del tribunale – che può essere disposta l’applicazione delle misure protettive a tutela del patrimonio del debitore.

A conferma di ciò, si richiama il tenore letterale dell’articolo 271 CCII, che chiaramente stabilisce come le misure protettive possano essere adottate esclusivamente nel contesto della concessione di un termine per la presentazione della domanda di accesso a una delle procedure previste dal citato capo II del titolo IV. In mancanza di tale presupposto – come avviene nel caso in cui il debitore formuli direttamente la domanda di apertura della liquidazione controllata – non vi è spazio per l’attivazione del meccanismo protettivo, risultando pertanto l’istanza giuridicamente infondata e inammissibile.

 

Il Concordato Minore: cos’è e chi può accedervi

Il Concordato Minore: cos’è e chi può accedervi

Con l’entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019), è stata introdotta una nuova procedura pensata specificamente per imprenditori, professionisti e piccoli imprenditori in difficoltà economica: il concordato minore. Si tratta di uno strumento semplificato e meno costoso rispetto al concordato preventivo “tradizionale”, che mira alla composizione negoziata della crisi e alla soddisfazione, almeno parziale, dei creditori.

Chi può accedere al concordato minore?

Il concordato minore è rivolto a soggetti non fallibili, cioè non assoggettabili alle procedure concorsuali ordinarie, e che rientrano in specifici requisiti previsti dalla legge. In particolare, possono accedere:

  1. Imprenditori sotto soglia
    Coloro che non superano almeno due dei seguenti limiti nei tre esercizi precedenti:

    • 300.000 euro di attivo;
    • 200.000 euro di ricavi lordi;
    • 500.000 euro di ammontare dei debiti, anche non scaduti.
  2. Professionisti, lavoratori autonomi e ditte individuali
    Anche se non iscritti come imprese, ma che svolgono attività economiche in forma individuale.
  3. Soci illimitatamente responsabili di società in crisi
    Possono presentare domanda individualmente per definire la propria posizione debitoria.

I consumatori non possono accedere a tale procedura, ma possono ricorrere alla procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore, anch’essa prevista dal Codice della Crisi.

A cosa serve il concordato minore?

Attraverso questa procedura il debitore può proporre un piano per:

  • Proseguire l’attività d’impresa, se sostenibile, o
  • Liquidare i beni, se l’intento è estinguere i debiti in maniera ordinata.

In entrambi i casi, è necessario garantire ai creditori un ritorno economico maggiore rispetto all’alternativa della liquidatoria.

Come funziona, in sintesi?

  1. Domanda presso l’O.C.C. (Organismo di Composizione della Crisi)
    Il debitore presenta l’istanza con l’assistenza di un professionista o direttamente all’organismo territoriale.
  2. Nomina del gestore della crisi
    Viene individuato un esperto che affianca il debitore nella redazione del piano.
  3. Deposito del piano e della proposta al tribunale
    Con documentazione completa della situazione patrimoniale, reddituale e debitoria.
  4. Omologazione da parte del tribunale
    Dopo l’approvazione dei creditori, se viene raggiunta la maggioranza richiesta.

Vantaggi del concordato minore

  • Accesso facilitato per piccoli imprenditori;
  • Maggior flessibilità nella proposta;
  • Costi contenuti rispetto al concordato ordinario;
  • Evita la liquidazione giudiziale;
  • Possibilità di mantenere l’attività in vita, se sostenibile.

In conclusione

Il concordato minore rappresenta una valida alternativa per chi, pur in difficoltà economica, vuole gestire in modo trasparente e responsabile la propria situazione debitoria, cercando un accordo sostenibile con i creditori. È uno strumento che valorizza la buona fede del debitore e mira alla seconda chance, in linea con i principi dell’Unione Europea in materia di insolvenza.

Crediti privilegiati e degradazione a chirografo nel piano di ristrutturazione: un principio generale oltre l’art. 67 CCII

Crediti privilegiati e degradazione a chirografo nel piano di ristrutturazione: un principio generale oltre l’art. 67 CCII

Nonostante l’articolo 67 del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) non preveda espressamente la degradazione del credito privilegiato insoddisfatto a chirografo, la prassi e l’interpretazione sistematica del diritto concorsuale impongono tale trattamento in sede di redazione del piano di ristrutturazione. Si tratta infatti di un principio generale, valido in ogni procedura concorsuale, che mira a garantire una gestione equa e trasparente delle pretese creditorie.

La posizione del credito privilegiato

Nel contesto delle crisi d’impresa, i crediti privilegiati godono di una posizione preferenziale rispetto a quelli chirografari, grazie alla presenza di garanzie reali o privilegiate riconosciute dalla legge. Tuttavia, quando l’attivo patrimoniale non è sufficiente a soddisfarli integralmente, la quota residua del credito perde il suo rango privilegiato.

La mancata previsione dell’art. 67 CCII

L’art. 67 CCII disciplina gli effetti del piano di ristrutturazione omologato, ma non menziona espressamente la necessità di degradare a chirografo la parte insoddisfatta di un credito privilegiato. Ciò potrebbe indurre a ritenere che non vi sia l’obbligo di tale indicazione nel piano. Tuttavia i principi generali impongono il contrario.

Il principio di degradazione: un vincolo sistemico

Giurisprudenza e dottrina sono concordi nel ritenere che la degradazione del credito privilegiato insoddisfatto non sia una facoltà del debitore, bensì una conseguenza automatica e necessaria della mancata integrale soddisfazione del privilegio. La parte non coperta dal realizzo dei beni su cui insiste il privilegio perde il beneficio della prelazione e deve essere trattata al pari degli altri crediti chirografari nel piano.

Implicazioni pratiche per i professionisti

Per i redattori dei piani di ristrutturazione, ciò significa che ogni credito privilegiato deve essere analizzato non solo in termini di esistenza e validità, ma anche in relazione al presumibile realizzo del bene su cui grava. L’eventuale incapienza patrimoniale deve essere espressamente affrontata e riportata nel piano, con la conseguente rielaborazione della posizione creditoria in termini chirografari per la parte insoddisfatta.

Conclusione

La corretta qualificazione e degradazione dei crediti nel piano di ristrutturazione non è solo una questione tecnica, ma anche di equità e rispetto delle regole concorsuali. La mancata previsione esplicita nell’art. 67 CCII non esonera il debitore dall’obbligo di rispettare questo principio generale. Al contrario, è proprio l’adesione a questi criteri sistemici che conferisce al piano quella coerenza e legittimità necessarie per l’omologazione e la tutela dell’interesse collettivo.

 

Responsabilità del debitore nel sovraindebitamento: colpa grave, frode o malafede

Responsabilità del debitore nel sovraindebitamento: colpa grave, frode o malafede

Nel sistema delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, introdotto e riformato dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), uno dei principi cardine è quello della meritevolezza del debitore. Questo principio mira a distinguere il debitore “incolpevole” da colui che ha determinato o aggravato la propria situazione debitoria con comportamenti riconducibili a colpa grave, frode o malafede”.

Queste tre espressioni rappresentano diverse sfumature di responsabilità che, se accertate, possono compromettere l’accesso alle procedure di sovraindebitamento o l’ottenimento dell’esdebitazione (cioè la liberazione dai debiti residui).

Vediamole nel dettaglio:

🔹 Colpa grave

La colpa grave si verifica quando il debitore ha assunto comportamenti manifestamente imprudenti, negligenti o avventati, tali da determinare o aggravare l’indebitamento in modo evitabile. Si tratta di situazioni in cui l’errore o la leggerezza sono così evidenti da risultare inescusabili.

Esempi tipici:

  • Contrarre nuovi debiti pur sapendo di non poter far fronte a quelli già esistenti;
  • Mancanza totale di pianificazione finanziaria, con spese eccessive rispetto al reddito disponibile;
  • Inerzia ingiustificata nell’adottare misure correttive per tempo.

🔹 Frode

La frode implica un comportamento attivo e doloso, volto a ingannare i creditori o a ottenere credito in modo illecito. A differenza della colpa grave, qui il debitore agisce con consapevolezza e volontà di trarre in inganno.

Esempi tipici:

  • Presentare documentazione falsa per ottenere prestiti;
  • Nascondere beni al fine di sottrarli alla garanzia dei creditori;
  • Simulare vendite o donazioni per ridurre artificialmente il proprio patrimonio.

🔹 Malafede

La malafede rappresenta una forma più sottile ma comunque cosciente e intenzionale di scorrettezza, anche se non sempre configurabile come frode. Il debitore agisce con disonestà o scorrettezza, pur senza arrivare alla truffa vera e propria.

Esempi tipici:

  • Omettere consapevolmente informazioni rilevanti nella domanda di accesso alla procedura;
  • Tentare di eludere i controlli degli organismi di composizione della crisi;
  • Simulare situazioni di bisogno non veritiere.

Le conseguenze nel procedimento

Il riscontro di colpa grave, frode o malafede ha effetti molto concreti:

  • Inammissibilità delle procedure: il debitore può vedersi negato l’accesso a strumenti come il concordato minore o il piano di ristrutturazione del consumatore.
  • Revoca dell’esdebitazione: anche qualora la procedura venga ammessa, la successiva scoperta di comportamenti in malafede può condurre alla revoca del beneficio.
  • Responsabilità penale: nei casi più gravi, come nella frode documentale, si possono configurare veri e propri reati.

Conclusione

Il sistema del sovraindebitamento si fonda sulla fiducia nei confronti del debitore meritevole: colui che si trova in difficoltà economica non per dolo o grave negligenza, ma per ragioni esterne o comunque non imputabili a una gestione consapevolmente scorretta.

Pertanto, chi intende accedere a una procedura di composizione della crisi deve dimostrare non solo la propria condizione economica oggettiva, ma anche un atteggiamento leale, trasparente e collaborativo, esente da gravi responsabilità pregresse.