Inammissibile il piano di ristrutturazione del consumatore in presenza di debiti da attività imprenditoriale precedente

Inammissibile il piano di ristrutturazione del consumatore in presenza di debiti da attività imprenditoriale precedente

La definizione di consumatore così come prevista dall’art. 2, comma 1, lett. a), del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), pone l’attenzione sull’aspetto psicologico del soggetto che agisce, cioè il suo “intento”.

Si sottolinea pertanto che, se l’obbligazione è stata assunta per uno scopo connesso ad un’attività imprenditoriale, essa deve essere considerata di natura commerciale. Un’obbligazione sorta con queste caratteristiche non varia la propria natura diventando un’obbligazione non commerciale solo perché il debitore ha dismesso l’attività d’impresa o commerciale o l’attività professionale.

Alla luce di quanto sopra si ritiene perciò inammissibile la domanda di ammissione al piano di ristrutturazione del consumatore che presenta una situazione debitoria mista o promiscua, in cui almeno una parte, anche se minima, del debito proviene da un’attività imprenditoriale precedentemente svolta.

Sovraindebitamento – debiti d’impresa

Sovraindebitamento – debiti d’impresa

 

 

Il Codice della Crisi e dell’Insolvenza prevede che per poter accedere alla procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore, nell’ambito di un’insolvenza portata all’attenzione del giudice, non devono essere presenti debiti d’impresa.

 Pertanto, una persona può essere considerata consumatore se ha svolto un’attività imprenditoriale che è stata successivamente cessata e da cui sono derivati debiti fiscali non pagati, presentando un piano per risolvere solo il debito civile, escludendo tale debito e le risorse necessarie per pagarlo.

Di conseguenza, l’accesso a questo tipo di procedura deve essere determinato in base alla natura delle obbligazioni che costituiscono il sovraindebitamento.

Se le obbligazioni sono relative all’esercizio dell’attività d’impresa, sarà possibile ricorrere solo al concordato minore.

Criteri di nomina del liquidatore nella liquidazione controllata

Criteri di nomina del liquidatore nella liquidazione controllata

Nel contesto della procedura di liquidazione controllata, la nomina del liquidatore deve seguire i criteri stabiliti dall’art. 270, comma 2, lett. b) del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII). È necessario, tuttavia, coordinare tali criteri con le disposizioni dell’art. 356 CCII.

Qualora il professionista inizialmente designato dall’Organismo di Composizione delle Crisi (OCC) non sia iscritto all’albo dei soggetti autorizzati dall’Autorità Giudiziaria a gestire e controllare procedure ai sensi del CCII, sussistono motivi legittimi, secondo l’art. 270, comma 2, lett. b) CCII, per procedere alla nomina di un altro liquidatore. Questo nuovo liquidatore dovrà essere scelto esclusivamente tra coloro che sono iscritti nell’elenco dei gestori della crisi, istituito dal decreto del Ministro della Giustizia del 24 settembre 2014, e residenti nel circondario del Tribunale competente.

In sintesi, per la nomina del liquidatore nella procedura di liquidazione controllata, è necessario rispettare i criteri dell’art. 270, comma 2, lett. b) CCII. Tuttavia, se il professionista designato non è iscritto all’albo dei soggetti autorizzati per tali funzioni, si può procedere alla nomina di altri liquidatori selezionati esclusivamente dall’elenco dei gestori della crisi, residenti nella giurisdizione del Tribunale competente, in conformità con l’art. 356 CCII.

Ammissibilità della liquidazione controllata

Ammissibilità della liquidazione controllata

È possibile avviare la liquidazione controllata richiesta da un socio a responsabilità illimitata di una società di persone cancellata dal Registro delle Imprese da oltre un anno.

Nel caso specifico lo stesso socio è anche socio a responsabilità illimitata in un’altra società di persone, che risulta inattiva e ha procedure esecutive pendenti. Questa seconda società non è ancora cancellata dal Registro delle Imprese ma non può essere sottoposta a liquidazione giudiziale per mancanza dei requisiti dimensionali previsti dall’art. 2, comma 1, lett. c), del Codice della Crisi e dell’Insolvenza (CCII).

Continuità aziendale e concordato preventivo

Continuità aziendale e concordato preventivo

La relazione tra continuità aziendale e sostenibilità economica è particolarmente stretta, poiché la prima rappresenta la condizione necessaria affinché la seconda possa manifestarsi come fenomeno concreto e prevedibile. Questa connessione è chiaramente evidenziata nell’art. 87, terzo comma, del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), dettato in tema di concordato preventivo, nel quale si richiede l’attestazione della sostenibilità economica in relazione al piano di continuità aziendale. Tale orientamento è applicabile sia alla continuità diretta che a quella indiretta, come previsto dall’art. 84, secondo comma, CCII. La continuità indiretta, in particolare, può risultare un percorso più rapido e rassicurante per valutare la sostenibilità economica, se essa conduce l’impresa in crisi verso aziende cessionarie finanziariamente solide e competitive, già performanti sul mercato.