da Natascia Bombardini | Mar 30, 2025 | Ristrutturazione dei debiti del consumatore
Il decreto di chiusura della procedura deve essere emesso anche in assenza di una previsione esplicita, al fine di certificare la conclusione del procedimento esecutivo e per tutelare il debitore, rimuovendo gli effetti derivanti dalla pubblicità del decreto di apertura e della sentenza di omologa.
Poiché l’attuale sistema normativo non prevede una pubblicazione unitaria e progressiva dei provvedimenti relativi alla stessa procedura, la sola pubblicazione del decreto di chiusura non risulterebbe sufficiente a garantire la completa tutela del debitore. In altre parole, la pubblicità relativa alla chiusura della procedura, senza interventi aggiuntivi, non assicurerebbe la rimozione dei precedenti effetti pubblicitari legati all’apertura della procedura e all’omologa del piano.
Pertanto, per raggiungere tale obiettivo, è necessario disporre la cancellazione delle pubblicazioni precedenti relative all’apertura della procedura e all’omologazione del piano. A tal fine, il provvedimento di chiusura dovrà contenere specifiche disposizioni, tra cui l’ordine al Tribunale di incaricare l’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) di:
- Procedere alla cancellazione della pubblicità effettuata ai sensi dell’articolo 70, commi 1 e 8, del CCII;
- Eliminare tutti i dati personali del debitore;
- Inviare una comunicazione ufficiale del decreto alla Centrale Rischi della Banca d’Italia e ai sistemi di informazioni creditizie privati, affinché vengano rimosse le segnalazioni relative al debitore come cattivo pagatore, ripristinando così la sua posizione creditizia.
Questi passaggi sono fondamentali per garantire che, una volta conclusa la procedura, il debitore non subisca ulteriori danni a causa della pubblicità degli atti precedenti, favorendo il suo completo reintegro nella vita economica e creditizia.
da Natascia Bombardini | Mar 28, 2025 | Liquidazione controllata
Per poter accedere alla liquidazione controllata su richiesta del debitore, è fondamentale che la procedura offra ai creditori una qualche forma di utilità, anche solo in prospettiva. Questo principio può essere ricavato da diverse disposizioni normative e da principi generali previsti dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), tra cui:
a) Gli articoli 268 e 269 CCII, che richiedono l’attestazione dell’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) circa la possibilità di ottenere un attivo da distribuire ai creditori, evidenziando la necessità di una valutazione preliminare sull’esistenza di un’attività che possa generare risorse per i creditori;
b) Il principio che la liquidazione non possa essere ammessa in assenza di beni o redditi futuri prevedibili, il che implica che se non ci sono risorse o possibilità concrete di generare attivo, la procedura di liquidazione sarebbe considerata inammissibile.
Il tribunale, in fase di valutazione, ha il compito di esaminare la relazione dell’OCC, accertandosi che essa contenga una corretta attestazione sulla possibilità di acquisire attivo da distribuire e di verificarne l’affidabilità e la congruità. Nel caso in cui l’unico attivo disponibile consista in una quota di reddito derivante da un lavoro dipendente, che però non sia necessario al mantenimento del debitore, e in assenza di altri beni o azioni prospettate, sarà onere del debitore fornire adeguata prova dell’esistenza di una qualche utilità per i creditori. In altre parole, il debitore dovrà dimostrare che, nonostante la limitata disponibilità di risorse, la procedura di liquidazione possa comunque comportare un vantaggio per i creditori, anche solo potenziale.
da Natascia Bombardini | Mar 22, 2025 | Liquidazione controllata, Sovraindebitamento
La corretta interpretazione dell’art. 268, co. 3, ultimo periodo, del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), che stabilisce l’apertura della procedura di liquidazione controllata qualora si accerti e attesti che “è possibile acquisire attivo da distribuire ai creditori”, impone di ritenere che sia necessaria la presenza di una pluralità di creditori concorsuali, ossia creditori anteriori alla dichiarazione di apertura della procedura. Questo requisito è espressamente previsto dalla norma e rispecchia la finalità stessa della procedura concorsuale. Infatti, la presenza di un solo creditore rende non solo priva di utilità la procedura, poiché non sarebbe possibile adempiere alla sua funzione, ma addirittura dannosa per l’unico creditore, che si troverebbe a sostenere esclusivamente il costo della procedura (compreso il credito prededucibile dell’OCC) senza alcun beneficio legato alla concorsualità.
Di conseguenza, l’accertamento che “è possibile acquisire attivo da distribuire ai creditori” implica che, nella valutazione ex ante, si debba escludere che la liquidazione possa soddisfare il credito di un solo creditore concorsuale (oltre a quello dell’OCC). In caso contrario, la funzione stessa della procedura concorsuale verrebbe svuotata e compromessa, per le ragioni sopra indicate.
da Natascia Bombardini | Mar 21, 2025 | Crisi d'impresa, Sovraindebitamento
Nella procedura di concordato minore i creditori sono chiamati, entro il termine stabilito dal giudice, ad esprimere il proprio voto alla proposta di concordato facendo pervenire la dichiarazione di adesione o la mancata adesione.
È consentita la possibilità di modifica della proposta di concordato minore anche se avviene dopo il voto dei creditori, a condizione che la modifica comporti un miglioramento del trattamento già previsto e accettato all’unanimità dai creditori stessi. Si ritiene che il voto dei creditori abbia l’effetto di cristallizzare la proposta di concordato minore, ma esclusivamente per impedire modifiche peggiorative. In tal caso, sarebbe necessario ripetere il processo di incontro delle volontà. Tuttavia, in assenza di specifiche disposizioni contrarie, non è precluso l’esercizio del diritto di modificare la proposta in senso favorevole ai creditori.
da Natascia Bombardini | Mar 14, 2025 | Liquidazione controllata
In materia di liquidazione controllata, in riferimento alla determinazione dell’ammontare delle spese necessarie a garantire il mantenimento personale e familiare del debitore, in assenza di una specifica disposizione normativa che stabilisca criteri rigidi per tale quantificazione, si ritiene opportuno fare riferimento al parametro indicato dall’articolo 283, comma II, del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCI). Tale norma prevede che l’importo delle spese di mantenimento debba essere determinato prendendo come base di calcolo l’ammontare dell’assegno sociale, aumentato del 50%, e moltiplicato per un coefficiente corrispondente al numero dei componenti del nucleo familiare, secondo la scala di equivalenza ISEE. A tale somma, inoltre, dovrà essere aggiunta una maggiorazione ulteriore, che tenga conto delle spese strettamente necessarie per consentire al debitore di produrre reddito.
Tuttavia, la determinazione effettiva e concreta di tali spese deve necessariamente essere rimessa alla valutazione del Giudice Delegato. Quest’ultimo, una volta dichiarata l’apertura della procedura di liquidazione controllata, sarà chiamato a effettuare un esame approfondito della situazione economico-finanziaria del debitore e del suo nucleo familiare. Solo dopo aver acquisito informazioni dettagliate circa le sue entrate, il patrimonio disponibile e gli oneri necessari per il sostentamento suo e della sua famiglia, sarà possibile stabilire in modo preciso e adeguato l’ammontare delle somme indispensabili per garantire un livello di vita dignitoso.
In definitiva, il criterio delineato dalla normativa costituisce un riferimento utile per orientare la quantificazione delle spese di mantenimento, ma la decisione finale non può prescindere da un’attenta analisi caso per caso, che tenga conto delle specifiche condizioni del debitore e della sua famiglia, nonché di eventuali esigenze particolari che possano emergere nel corso della procedura di liquidazione.