da Natascia Bombardini | Lug 18, 2025 | Crisi d'impresa, Sovraindebitamento
Sovraindebitamento per Residenti all’Estero: È Possibile Accedere alla Procedura?
Chi si trova in una situazione di grave difficoltà economica e ha residenza all’estero si chiede spesso se possa accedere a una procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento in Italia. La risposta è sì, ma con alcune precisazioni importanti, soprattutto in riferimento alla competenza territoriale del Tribunale ai sensi dell’art. 27 del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII).
Nel caso in cui il debitore risieda stabilmente all’estero, l’accesso alla procedura di sovraindebitamento rimane possibile in Italia, a condizione che il centro principale degli interessi (COMI) o comunque un collegamento rilevante con il territorio italiano sia individuabile. In pratica, è necessario dimostrare che, sebbene residente fuori dal Paese, il soggetto mantenga legami economici, patrimoniali o giuridici con l’Italia.
L’art. 27 del CCII stabilisce il criterio per individuare il tribunale territorialmente competente per l’apertura della procedura. In particolare:
“Quando il debitore ha il centro degli interessi principali fuori dal territorio della Repubblica, è competente il tribunale di Roma.”
Questo significa che il Tribunale di Roma è l’unico competente a conoscere delle domande di sovraindebitamento presentate da persone fisiche residenti all’estero, qualora non sia individuabile un diverso centro di interessi in Italia.
Per accedere alla procedura, anche dall’estero, il debitore dovrà:
- incaricare un Gestore della Crisi iscritto nell’apposito Albo (generalmente tramite un Organismo di Composizione della Crisi – OCC);
- presentare un’istanza formale al Tribunale di Roma;
- fornire una dettagliata relazione sulla propria situazione patrimoniale, reddituale e debitoria;
- dimostrare eventuali legami giuridici o patrimoniali con l’Italia (es. debiti contratti in Italia, beni in Italia, conti correnti o relazioni contrattuali con enti italiani).
In conclusione, anche per una persona fisica residente all’estero, l’ordinamento italiano prevede la possibilità di accedere a una procedura di sovraindebitamento. Il presupposto fondamentale è che vi siano elementi concreti di collegamento con l’Italia, e in assenza di una diversa competenza territoriale, sarà il Tribunale di Roma a gestire la procedura, in virtù dell’art. 27 CCII.
È sempre consigliabile rivolgersi a un professionista esperto o a un OCC per valutare correttamente la situazione e predisporre l’istanza in modo conforme alla normativa vigente.
da Natascia Bombardini | Lug 12, 2025 | Crisi d'impresa
Nel panorama delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, il concordato minore rappresenta uno strumento sempre più rilevante per artigiani, professionisti, piccoli imprenditori e start-up che vogliono uscire da situazioni debitorie complesse. Un recente orientamento interpretativo chiarisce un punto decisivo riguardante le modalità di approvazione della proposta in presenza di un creditore “dominante” cioè quando un solo creditore ha più del 50% dei crediti.
Nel concordato minore, la proposta deve essere approvata dai creditori, secondo criteri di doppia maggioranza: per valore (cioè l’ammontare dei crediti) e per teste (cioè il numero dei creditori). Ma cosa succede se un unico creditore detiene oltre il 50% del valore dei crediti ammessi al voto?
In questi casi, per evitare che la volontà di un singolo creditore possa condizionare l’intera procedura, è necessario che la proposta sia approvata anche dalla maggioranza numerica dei “voti espressi”. E qui entra in gioco un chiarimento importante: il termine “voti espressi” include anche i voti favorevoli espressi per silenzio-assenso.
Il silenzio vale come assenso (e viene contato)
L’interpretazione è coerente con la logica del concordato minore, pensato per essere uno strumento snello e orientato alla soluzione, non al blocco della procedura. Proprio per questo, la legge prevede che, in assenza di voto espresso entro il termine, il silenzio del creditore valga come assenso. Questo principio serve a evitare che l’inerzia di alcuni creditori paralizzi la procedura.
Quindi, anche quando un creditore detiene oltre la metà dei crediti, l’omologazione della proposta resta possibile, purché venga raggiunta la maggioranza per teste dei creditori votanti, considerando nel conteggio anche i silenzi-assenso.
Un equilibrio tra tutela del creditore e funzionalità della procedura
Questa interpretazione tutela il bilanciamento tra le parti coinvolte: da un lato, si evita che un solo creditore possa imporre il proprio veto; dall’altro, si mantiene la necessità di un consenso minimo e qualificato tra i creditori.
Conclusione
Il chiarimento sull’interpretazione del concetto di “voti espressi” rafforza la natura pragmatica ed efficiente del concordato minore, confermandolo come uno strumento concreto per uscire dalla crisi in modo ordinato e con il coinvolgimento responsabile dei creditori.
da Natascia Bombardini | Lug 11, 2025 | Liquidazione controllata
Una recente pronuncia del Tribunale ha chiarito un aspetto rilevante della procedura di liquidazione controllata prevista dall’art. 268 del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII): è ammissibile la domanda proposta da un debitore privo di beni, ma titolare di una quota indivisa di un immobile inserito in un fondo patrimoniale, purché lo stesso debitore – con il consenso del coniuge – si impegni formalmente a sciogliere il vincolo e a rendere disponibile l’immobile per la vendita.
Il fondo patrimoniale non è più un ostacolo insormontabile
Il fondo patrimoniale, tradizionalmente destinato a proteggere i beni da azioni esecutive per debiti estranei ai bisogni della famiglia, spesso ha rappresentato un limite alla soddisfazione dei creditori. Tuttavia, in questo caso, il Tribunale ha ritenuto che l’impegno del debitore e del coniuge a sciogliere il vincolo patrimoniale permetta di considerare con ragionevole certezza che l’immobile potrà essere acquisito all’attivo della procedura.
In sostanza, si supera l’apparente assenza di patrimonio liquidabile grazie a un comportamento collaborativo e trasparente del debitore, che si traduce in un’opportunità concreta di soddisfare – anche solo parzialmente – le pretese dei creditori.
Interesse del ceto creditorio e garanzie procedurali
Il Tribunale ha evidenziato che, in mancanza di tale procedura, i creditori non avrebbero altra possibilità di agire sull’immobile. Pertanto, l’apertura della liquidazione controllata risponde all’esclusivo interesse del ceto creditorio.
Va inoltre sottolineato che, qualora il debitore non desse seguito all’impegno assunto – cioè non procedesse effettivamente allo scioglimento del fondo patrimoniale – la procedura potrà comunque essere chiusa per assenza di attivo, e tale comportamento sarà valutato dal giudice al momento dell’emissione del provvedimento ex art. 282 CCII.
Conclusioni
Questa pronuncia rappresenta un passo significativo verso un’interpretazione più flessibile e funzionale dell’istituto della liquidazione controllata. Essa conferma che, anche in assenza di beni immediatamente aggredibili, è possibile avviare una procedura se il debitore dimostra concreta disponibilità a collaborare e a valorizzare potenziali asset altrimenti non accessibili ai creditori.
Un’opportunità, dunque, per chi è in difficoltà, ma intende affrontare la crisi in modo responsabile e trasparente.
da Natascia Bombardini | Lug 5, 2025 | Ristrutturazione dei debiti del consumatore
Nel percorso di ristrutturazione dei debiti del consumatore, uno degli elementi centrali per accedere alla procedura è la valutazione della colpa nella formazione del debito. Ma cosa si intende esattamente per assenza di colpa grave? E quali responsabilità ricadono sul debitore e quali, invece, sul finanziatore?
La colpa del consumatore va valutata con flessibilità
Ai fini dell’ammissione alla procedura di ristrutturazione dei debiti, la legge non richiede che il consumatore abbia agito con estrema prudenza o secondo standard “oggettivi” di condotta perfetta. Ciò che conta, invece, è che non abbia tenuto un comportamento consapevolmente irresponsabile o gravemente imprudente.
La colpa grave, quindi, va valutata caso per caso, tenendo conto delle condizioni soggettive del debitore (come il livello di istruzione, la situazione familiare o lavorativa, eventuali fragilità personali) e del contesto specifico in cui il debito è stato contratto.
In sostanza, la soglia per accedere alla procedura non è quella della perfezione, ma della “minima diligenza”, ossia l’assenza di una condotta marcatamente colpevole o superficiale.
I finanziatori devono fare la loro parte
La legge impone inoltre precisi obblighi anche ai creditori finanziari. In particolare, l’art. 124-bis del Testo Unico Bancario (TUB) prevede che gli intermediari debbano valutare attentamente il merito creditizio del consumatore, prima di concedere un prestito, acquisendo informazioni complete e affidabili, anche da fonti indipendenti.
Questo significa che:
- Il finanziatore non può scaricare sul consumatore eventuali errori o incongruenze presenti nei moduli standard, soprattutto se compilati da intermediari.
- Una dichiarazione unilaterale del consumatore, se non correttamente verificata dalla banca o dalla finanziaria, non può essere usata per contestare colpa grave e negare l’accesso alla procedura.
Tutela per i debitori in buona fede
Il sistema, quindi, riconosce una tutela importante a favore dei consumatori che, pur trovandosi in difficoltà economiche, hanno agito in buona fede e senza consapevole imprudenza. Non si tratta di penalizzare chi ha commesso piccoli errori di valutazione, ma di impedire l’abuso della procedura da parte di chi ha contratto debiti con leggerezza e dolo.
D’altro canto, le finanziarie devono esercitare la dovuta diligenza nella concessione del credito e non possono successivamente attribuire al debitore responsabilità che derivano da proprie carenze istruttorie.
da Natascia Bombardini | Lug 4, 2025 | Liquidazione controllata
Il Tribunale può e deve respingere l’istanza di apertura della liquidazione controllata presentata da un creditore, anche se il debitore vi ha aderito e non ha sollevato eccezioni, quando risulta evidente la mancanza di un patrimonio liquidabile.
Secondo un principio ormai consolidato, l’adesione del debitore alla richiesta non vincola in alcun modo il giudice, che è comunque tenuto a verificare con rigore la presenza dei presupposti previsti dalla legge. La procedura, infatti, ha una natura pubblicistica e non può essere attivata in modo automatico o meramente formale: deve basarsi su condizioni concrete, tra cui l’esistenza di una minima utilità patrimoniale da parte del debitore, segno necessario della sua meritevolezza.
Non è sufficiente, quindi, avanzare generiche promesse o ipotesi di redditi futuri non verificabili. In assenza di beni da liquidare o di redditi effettivamente cedibili, la liquidazione controllata perderebbe la sua funzione e si ridurrebbe a un semplice strumento per ottenere l’esdebitazione senza alcun reale sacrificio da parte del debitore.