da Natascia Bombardini | Giu 28, 2025 | Sovraindebitamento
In un contesto economico complesso come quello attuale, può accadere che una persona finisca sovraindebitata non per debiti propri, ma per aver prestato garanzia a favore dell’impresa di famiglia. È proprio in casi come questo che si rivela fondamentale l’istituto dell’esdebitazione immediata, previsto dall’art. 283 del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII).
Quando il debitore incapiente è meritevole
Recenti pronunce hanno riconosciuto come meritevole il debitore che, pur risultando incapiente, richiede l’esdebitazione immediata quando:
- la sua situazione debitoria è legata a prestazioni di garanzia in favore di una società a responsabilità limitata di famiglia,
- tale società è stata dichiarata fallita,
- il debitore ha agito in buona fede nel tentativo di salvare l’impresa familiare in crisi.
In un caso concreto, il debitore si era ritrovato con una posizione debitoria complessiva di oltre un milione di euro (€ 1.044.800,00), dovuta interamente a garanzie prestate a sostegno della società dei genitori. La relazione del gestore della crisi ha confermato che si trattava di un’iniziativa nata con l’intento di salvare l’attività di famiglia, nella quale era intervenuto anche un ente finanziatore qualificato, che aveva richiesto il rilascio delle garanzie personali.
Il ruolo dell’art. 283 CCII
L’art. 283 CCII consente l’esdebitazione immediata per il debitore persona fisica incapiente, cioè privo di redditi, beni o crediti utilmente liquidabili. Tuttavia, l’accesso al beneficio è subordinato alla valutazione di meritevolezza, che richiede:
- l’assenza di dolo o colpa grave nell’indebitamento,
- la trasparenza e collaborazione del debitore nella procedura,
- una motivazione personale o familiare che giustifichi l’assunzione del debito.
Un’opportunità di ripartenza
La previsione normativa tutela chi, in situazioni complesse, ha agito con spirito di responsabilità e solidarietà familiare, anche a costo di compromettere la propria situazione economica. In questi casi, l’ordinamento riconosce il diritto a una seconda possibilità, consentendo l’esdebitazione immediata e offrendo una concreta occasione di ripartenza.
da Natascia Bombardini | Giu 27, 2025 | Ristrutturazione dei debiti del consumatore, Sovraindebitamento
La ristrutturazione dei debiti del consumatore rappresenta uno strumento fondamentale per chi si trova in difficoltà economica, offrendo una via per uscire dall’insolvenza in modo sostenibile. Una delle questioni più sentite riguarda la possibilità di mantenere la casa di abitazione anche in presenza di un mutuo risolto dalla banca e di una procedura esecutiva immobiliare già avviata.
Secondo quanto previsto dall’art. 67, comma 5, del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), è infatti ammissibile una proposta di ristrutturazione dei debiti del consumatore che includa la prosecuzione del mutuo ipotecario sulla prima casa. Questo è possibile anche quando il contratto di mutuo sia già stato risolto dalla banca e l’immobile sia stato assoggettato a pignoramento.
In questi casi, il giudice della procedura può autorizzare:
- la rimessione in termini per il pagamento delle rate future del mutuo,
- il pagamento integrale delle rate scadute, anche con l’aiuto di soggetti terzi (ad esempio, un familiare disposto a finanziare il piano di rientro, ma solo in caso di omologazione della proposta).
L’intervento del giudice è cruciale: grazie alla sua autorizzazione, si possono superare le clausole contrattuali che normalmente impedirebbero la prosecuzione del mutuo, come le clausole risolutive o la decadenza dal beneficio del termine già intimata dalla banca.
Il legislatore ha voluto riconoscere la centralità della casa di abitazione nel percorso di risanamento del consumatore. L’ordinamento, infatti, prevede esplicitamente la possibilità per il debitore di “purgare la mora”, cioè di sanare l’inadempimento e proseguire il pagamento del mutuo, salvaguardando così l’immobile.
Questa impostazione sottolinea un principio importante: la tutela dell’abitazione principale del debitore è una priorità, anche all’interno di una procedura concorsuale.
Chi si trova in difficoltà economica e rischia di perdere la propria casa a causa di un mutuo risolto o di un’esecuzione immobiliare non è necessariamente senza via d’uscita. La normativa vigente, con il supporto del giudice e un piano finanziario credibile, consente di recuperare il mutuo e salvare l’abitazione, offrendo una seconda possibilità concreta e dignitosa.
da Natascia Bombardini | Giu 21, 2025 | Liquidazione controllata
Nel contesto delle procedure previste dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, un principio fondamentale è stato ribadito con chiarezza dalla giurisprudenza: la domanda di apertura della procedura di liquidazione controllata è inammissibile se manca una valutazione concreta, nella relazione del gestore della crisi (OCC), sulla possibilità di attribuire un attivo non irrisorio ai creditori.
Nel caso in esame, la relazione del professionista incaricato si limitava a espressioni generiche, affermando in modo sommario la “ragionevole fattibilità” della procedura, la “coerenza” e “attendibilità” della domanda, senza però fornire un’analisi concreta delle effettive prospettive di riparto del patrimonio del debitore.
Tale superficialità ha spinto il Tribunale a svolgere direttamente la verifica che la legge attribuisce all’Organismo di Composizione della Crisi (OCC), giungendo alla conclusione che non vi era alcun attivo concretamente distribuibile ai creditori in misura significativa. In mancanza di una prospettiva reale di soddisfacimento, anche solo parziale, delle pretese creditorie, la domanda di apertura della procedura non può essere accolta.
Questo principio evidenzia una responsabilità chiave in capo al gestore della crisi: la relazione prevista dalla legge non può ridursi a una formalità o a un atto meramente descrittivo. Deve invece contenere una valutazione concreta e motivata sulla sussistenza di elementi patrimoniali utilmente liquidabili, così da garantire l’effettività della procedura e tutelare l’interesse dei creditori.
In sintesi, la qualità e la sostanza della relazione dell’OCC sono elementi determinanti per l’ammissibilità della liquidazione controllata. L’assenza di un’attenta analisi patrimoniale e la mancanza di prospettive concrete di soddisfacimento comportano l’automatica inammissibilità della domanda.
da Natascia Bombardini | Giu 20, 2025 | Liquidazione controllata, Sovraindebitamento
Nell’ambito delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, un recente orientamento giurisprudenziale chiarisce un punto cruciale in tema di responsabilità del debitore: la semplice omissione della dichiarazione di precedenti finanziamenti, da parte del consumatore, non è di per sé sufficiente a dimostrare la sua mala fede o il carattere fraudolento della condotta.
Il principio si fonda su una lettura attenta dell’art. 69 del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), che stabilisce una condizione ostativa all’omologazione del piano o dell’accordo qualora risulti che il debitore abbia determinato la propria situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode.
Ciò implica un onere probatorio ben preciso in capo al creditore che intenda opporsi all’omologazione per tali motivi: non è sufficiente provare il comportamento reticente o omissivo del debitore, ma occorre dimostrare che tale condotta abbia avuto un effetto causale diretto sulla formazione del debito complessivo. In altre parole, il creditore deve offrire prova, anche per via indiziaria, non solo della condotta scorretta ma anche del nesso causale tra tale condotta e il sovraindebitamento.
In assenza di tale dimostrazione, non può dirsi integrata la fattispecie impeditiva prevista dal legislatore.
Questo orientamento rappresenta un’importante garanzia per il debitore onesto ma in difficoltà economica: protegge da automatismi che rischierebbero di negare l’accesso agli strumenti di ristrutturazione del debito sulla base di meri sospetti o imperfezioni formali. Al tempo stesso, ribadisce l’importanza di un impianto probatorio solido, ancorato alla reale incidenza delle condotte contestate, a tutela dell’equilibrio tra le parti nel procedimento.
da Natascia Bombardini | Giu 14, 2025 | Crisi d'impresa
È legittima la proposta di concordato minore che prevede l’intervento di un terzo soggetto – il quale, rinunciando al regresso, mette a disposizione della procedura una somma pari al valore dell’abitazione del debitore, oggetto di un’esecuzione forzata. Tale soluzione consente al sovraindebitato di mantenere la proprietà dell’immobile, senza compromettere la tutela dei creditori.
Questa previsione non rientra nell’ambito dell’art. 75, comma 3, del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), né costituisce applicazione diretta del comma 2-bis dello stesso articolo. Tuttavia, è considerata coerente con la logica del concordato minore in continuità e con i principi generali della garanzia patrimoniale.
In particolare, la sostituzione del bene immobile con un apporto di finanza esterna — anche se di valore inferiore alla stima peritale, ma comunque superiore al prezzo base d’asta — non si pone in contrasto con la normativa. Anzi, rappresenta una soluzione equilibrata e sostenibile che tutela sia gli interessi del debitore che quelli dei creditori, offrendo loro un’alternativa concreta e potenzialmente più vantaggiosa rispetto all’esecuzione forzata.